torneranno i prati (Ermanno Olmi, 2014)

In occasione del centenario dell'inizio della Grande Guerra, Ermanno Olmi ha portato sul grande schermo una potente testimonianza dell'orrore del conflitto e della sofferenza degli uomini al fronte. torneranno i prati, il cui titolo è volontariamente scritto con soli caratteri minuscoli per rendere l'anonimato delle masse di soldati mandate a morire, è un film che si presenta come un intenso documentario storico e umano, o, per meglio dire, dell'umanità nella storia: nei suoi ottanta minuti (che corrispondono alla durata degli eventi narrati) rende testimonianza di ciò che i manuali e la visione della guerra dall'alto trascurano, lo stato morale e psicologico di milioni di uomini che hanno convissuto per anni con l'angoscia, le bombe e la certezza che ogni loro istante potesse essere l'ultimo. 

Alle spalle del film, ambientato in una trincea dell'Altipiano di Asiago (lo stesso contesto del romanzo di E. Lussu) ci sono molte narrazioni, dal racconto La paura di Federico De Roberto, di cui vengono ripresi diversi passaggi, la scelta dei dialoghi in dialetto e la durezza narrativa, alla testimonianza diretta del padre del regista, che ha vissuto personalmente ciò che Ermanno descrive.
torneranno i prati non ha una vera e propria trama e non ha veri e propri protagonisti: essa descrive le vicende di un'ora al fronte, dall'arrivo di alcuni ufficiali (fra cui il maggiore, interpretato da Claudio Santamaria e il tenentino cui dà il volto Alessandro Sperduti) in trincea, a comunicare l'ordine di stabilire una nuova linea di comunicazione sotto il fuoco nemico, fino agli effetti di un durissimo bombardamento che porta il comando generale a ordinare la ritirata.
L'assenza di intreccio testimonia la mancanza di un senso e di una direzione in un conflitto che non causa altro che morte e in cui i veri nemici non sono quelli che sparano o lanciano le bombe, le cui voci si odono solo all'inizio, quando incitano un soldati napoletano a continuare il canto, una manifestazione di umanità condivisa nonostante le opposte barricate, ma i comandanti e i governi che danno l'ordine di combattere e uccidere e puniscono duramente chi si dichiara troppo attaccato alla vita.


Quella del fronte è una realtà disumanizzata in cui compaiono rarissimi segni di vita (gli animali che escono la notte, il larice che a stento resiste in un terreno esposto al fuoco e che, nella fantasia delle sentinelle, si colora di un oro che rappresenta forse la speranza e la bellezza rubate) e in cui i soldati sono privi di identità: è emblematico che, dopo il tragico esito di una sortita appena fuori dalla trincea, il capitano del battaglione (Francesco Formichetti) chieda con veemenza non i numeri, ma i nomi dei caduti, prima di strapparsi quei gradi che lo obbligano a pretendere - anziché condividere il dolore dei suoi sottoposti e perduti i quali non sarà più possibile distinguere la sua vicenda da quella di tutti gli altri. torneranno i prati è, infatti, un ricordo dei tanti militi ignoti che non hanno potuto ricevere sepoltura, che sono stati ingoiati dalla guerra, dalla malattia, dalla disperazione e dalla solitudine.
Seguendo lo svolgimento del film, fatto di sequenze di guerra angosciose e di momenti di stasi che rendono ancor più acuta la tensione, non si può non pensare alle coeve esperienze di Emilio Lussu, Giuseppe Ungaretti e Erich Maria Remarque: dalle loro parole, come nelle espressioni dei soldati di Olmi, emergono un tenace attaccamento alla vita e un disperato desiderio di fuggire alla morte, di porre fine a tutto, di far tacere quella voce che inneggia ad una Patria lontana, per la quale combattono uomini che a malapena si comprendono tra loro, tanti sono i dialetti che parlano.


E se il titolo pare quasi un inno di speranza ad un domani migliore, non va dimenticato, come ricorda l'attendente (Camillo Grassi) che l'erba che tornerà a coprire l'altipiano e i cadaveri su di esso abbandonati sarà sì un segno di rinascita, ma anche una minaccia, perché, cancellando i segni di ciò che è accaduto, essa porterà via anche la testimonianza del dolore e della sofferenza di tutti coloro che in quelle trincee hanno vissuto e sono morti, esuli di un'esistenza strappata loro dalla violenza delle bombe e dei fucili ma soprattutto, della freddezza dell'ordine umano, cieco a tutto quando è invaso dal desiderio di potere.

C.M.

Commenti

  1. "[...] torneranno i prati non ha una vera e propria trama e non ha veri e propri protagonisti [...]"

    Ecco, questo è interessante. Un aspetto che ho trovato nei romanzi scritti dai reduci della varie guerre, in particolare la WWII. Un aspetto che non sempre - quasi mai - si è visto nelle rappresentazione al cinema, di queste guerre. Credo di volerlo vedere, anche perché dovrebbe essere, tolto il documentario RAI, l'unica grande produzione in occasione del centenario.

    PS:
    Volevo leggerli, i racconti di De Roberto! Tu li hai letti?

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    1. Inatti ho trovato molto significativa la scelta di questa narrazione "anonima" e assolutamente non retorica: un dato, quello della mancanza di nomi, che rimarca il gran numero delle vittime della guerra.
      Di De Roberto ho letto solo il citato La paura, ma non ho approfondito altri scritti...

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  2. Molto bello questo post!
    Mi pare che il film testimoni quanto sia necessaria l'operazione della memoria.

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    1. Proprio così: invita a preservare un valore che con troppa facilità si tende ad abbandonare...

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