Il Paradiso non può attendere

Se questo fosse l'inizio di una mia cantica, invocherei l'ispirazione divina e in qualche terzina mi impegnerei a definire l'esatta posizione degli astri in questa notte per me sventurata. I medici dicono che sta per sorgere il quattordicesimo giorno di settembre, ma, nell'oscurità di queste stanze e nel delirio della malattia, nulla mi raggiunge della ridente Ravenna. 
Sto lì qualche istante, ad osservare il mio corpo tiepido, mentre vengono impartite le ultime benedizioni e si appronta il lavoro di ritrattisti e scultori perché il mio volto passi alla storia. Ma io sono destinata ad un luogo con cui né pennello né scalpello potranno rivaleggiare: sarò ben presto là dove appare la caducità delle arti terrene. Sic transit gloria mundi.
Ho un vago ricordo della mia sede oltremondana. Casella mi ha narrato il suo viaggio, la sua attesa presso la foce del Tevere e il viaggio sulla barca volante, ma quelle parole, piene di speranza allora, ora mi riempiono di timore e malinconia. È davvero questo il cammino a me destinato?
Il ricordo dello strazio dei nove cerchi e della grazia degli altrettanti cieli mi assilla con un tormento sempre più forte mano a mano che le carni si raffreddano e il calore va a riempire la mia sostanza. Presto dovrò partire, guidata da una mente che non è più la mia, totalmente arresa all'Amore. Ma l'incubo che di quell'Amore debba avvertire dapprima e per tutta l'eternità le percosse della Giustizia, quella Giustizia che troneggiava sulla porta nera, non cessa, e non cesserà fino a che non sarò discesa alla Città Santa, sfuggendo al rapimento dei demoni.
Dopo la visione dell'Eterno che non mi riesce di rievocare ma la cui emozione è radicata nel profondo di me, il pensiero di esserne privata mi annienta. Lo strazio delle pene infernali sarebbe nulla di fronte alla consapevolezza della bellezza e della pienezza che in quella voragine mi sarebbero tolte per sempre. Anche se non ho le parole per raccontarlo, aver visto Lui e aver penetrato il Suo mistero è un'esperienza che renderebbe lacerante la privazione della Grazia più delle Arpie che straziano Pier delle Vigne o del ghiaccio che squarcia le orbite di Frate Alberigo. In questi momenti di attesa, vorrei non aver visto tutto quanto Lui mi ha concesso di vedere: perdendolo, non ne soffrirei così tanto.
Il calore si dissolve e io sento il respiro nei polmoni, o una sensazione simile al respiro. So che posso andarmene nel momento stesso in cui staccano la maschera funebre dal mio volto ingiallito dalla malaria.
Ho la sensazione di andarmene in giro per la costa, risalgo la marina dove il Po discende e piango, piango come allora, di fronte alla bella e pietosa Francesca. Sorrido fra me e me: siamo morti nelle stesse terre, ma forse lei sarà ricordata più a lungo, se avverto già, grazie alla preveggenza data a quelli come me, la sua fama nei secoli futuri. «Come l'acqua corrente / che va che va, e l'occhio non s'avvede, / così l'anima mia». Quel Gabriele la farà entrare in scena con il mio «Amor».
Ben presto son altre le acque che mi lambiscono i piedi, se così si può dire. L'Arno, forse, o l'Adige, ma ora tutti i fiumi e i rigagnoli mi sembrano uguali, solo Acheronte o Lete potrei distinguere, solo quelli sono i corsi di cui mi curo. Anche questo è strano: vedo il futuro, ma, pur avendo percorso così tante strade terrene e tanti luoghi reali avendo usato per descrivere le lande infernali, ora che volo sull'Italia ancora serva mi sembra tutto sconosciuto.
Il mondo non mi appartiene più ed io non appartengo più al mondo. I miei versi basteranno forse fino a che non arriverà un nuovo Giotto a soppiantare questo stanco Cimabue. Sic transit gloria mundi.
D'un tratto mi ritrovo in mezzo ad un mucchio di anime bisbiglianti. Qualcuno, in un angolo, canta «In exitu Israel de Aegypto» con quanto di quel salmo è poscia scripto. Una prima, festante manifestazione di salvezza o l'ultima speranza di chi spera in un perdono all'ultim'ora?
Casella, in fondo, non ha detto che solo le anime destinate al secondo regno si radunano alle foci del Tevere. Un demonio potrebbe apparire da un momento all'altro per prendermi. Ah, ma poi ho davvero parlato a Casella? Ho davvero incontrato il mio maestro e il mio autore? E Lei, la mia.... no, mia non è mai stata, Beatrice?
Mi getto sulla ghiaia umida, maledicendo me stessa per quell'improvvisa mancanza di fede. Se rinnego quel viaggio, nemmeno questo che mi è ora destinato potrà compiersi. Come può la fede, dopo tanta fermezza, vacillare proprio quando è maggiormente necessaria?
E mi sovvien, d'improvviso, che gli ultimi fogli della Commedia, dallo Scaleo d'oro in avanti, sono ancora stipati nel doppio fondo del baule. Me li sono portati in viaggio, sicura che a Venezia ci sarebbe stato tempo per ritoccarli mentre si decideva della guerra. Chissà se è davvero possibile apparire in sogno ai vivi per dare loro moniti e consigli: di Iacopo mi potrei fidare.
Decido di chiedere ad un tale che è attorniato da parecchie persone e che fa mostra di una certa esperienza in materia oltremondana. Guardandolo bene, mi accorgo di averlo incontrato qualche volta a Firenze, ma occorre qualche minuto perché la mia mente, nella sua nuova forma, ricordi i particolari raccolti in vita. Quasi certamente si tratta di Niccolò Alberti, il domenicano che a Fienze, in quel maledetto 1302, ha cercato di appianare le tensioni con i Neri. Sono quasi sicura che sia diventato vescovo l'anno successivo e che sia morto qualche mese fa, ma ho capito che il tempo, da quando mi sono staccata dal mio corpo, non è più una certezza... e poi Casella mi ha avvertito che, per essere prelevati dall'angelo, occorrono anche diversi anni, a meno che non venga indetto un nuovo Giubileo.
Mi avvicino all'Alberti e ascolto i saggi consigli che dispensa alle anime, invitandole a continuare la loro penitenza e a perseverare nella preghiera; quando il gruppetto in disparte attacca «In exitu...», il suo volto si illumina e balza in piedi ad applaudire.
Poi mi scorge tra la folla. Indaga un po'il mio viso, smunto per la malattia e il peccato che non vedo l'ora di levarmi di dosso. Si fa largo fra le anime impartendo segni di benedizione e mi saluta. Non posso fare a meno di esporgli i miei dubbi, e lui ascolta, paziente come solo chi ha di fronte a sé l'eternità può essere.
 «Sai bene che Nostro Signore può rendere possibile ogni cosa. Tuttavia il buon senso mi dice che potrai parlare al tuo figliuolo solo finché sarai qui in attesa. Una volta raggiunti i liti del Purgatorio, apparterremo ad un altro mondo, il mondo della purificazione e della pace.»
 «Confesso che lo scopo per cui desidero parlare ai miei figli è quello di indicare loro il luogo in cui trovare gli ultimi canti del Paradiso... una motivazione vanagloriosa, padre.»
L'Alberti si illuminò e sorrise. «La tua Commedia, dunque!» esclamò «Ne ho letto una buona parte e non vedo l'ora di incontrare Catone e Matelda: immagino che tutto sarà come lo hai visto in Grazia di Dio. Lasciami quindi dire una cosa: non permettere che la sua conclusione vada perduta. Essa è opera dell'ingegno di Nostro Signore, che per bocca tua ha parlato e ci ha offerto un insegnamento.»
Non ho il coraggio di dirgli che non mi è del tutto estraneo il desiderio della gloria, e che fra quei Superbi della prima cornice dovrei esserci anch'io, soprattutto dopo che ho avuto l'ardore di farmi presentare velatamente da Oderisi come poeta migliore di Guinizzelli e Cavalcanti. Ma in fondo sì, la mia Commedia va oltre questo viziuccio terreno, se l'ha capito l'Alberti, così saggio dottore, non lo si capirà forse anche più in alto?
Farò come le cariatidi per un po', con il mio masso e il collo curvo, poi, forse, potrò ripercorrere le antiche orme e superare la Sfera del Fuoco, il vero limite della salvezza. Se fossi destinata alla voragine infernale, del resto, gli emissari di Lucifero mi avrebbero strappato alle membra all'istante, senza permettermi quel viaggio ameno. Sempre che non vogliano alimentare ulteriormente il desiderio di Dio per poi estirparne da me ogni speranza di godimento.
In ogni caso, bisogna fare presto. Mi metto a cercare un esperto di sogni mistici, perché non c'è tempo da perdere: quantunque sia lunga la mia attesa su queste rive, il Paradiso non può attendere.

 14 settembre 1321-14 settembre 2015

Salvador Dalì


C.M.

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