Quando lo show è uno shock: disguidi di scena antichi e contemporanei

Nel mondo teatrale e, in generale, prima delle performance spettacolari, gli attori e tutto lo staff si riunscono per alcuni rituali di buon augurio per lo spettacolo, riti apotropaici per stornare la paura dell'insuccesso dal palco e dalle sale in cui ci si esibisce. L'usanza più praticata è quella di radunarsi, prendersi per mano e pronunciare a gran voce all'unisono «Merda, merda, merda»; tale forma di augurio nacque nel XVII secolo, epoca in cui le classi agiate si recavano a teatro con carrozze trainate da cavalli che, nell'attesa fra il viaggio di andata e quello di ritorno, espletavano nei pressi dei luoghi di spettacolo i loro bisogni: una grande quantità di escrementi era sinonimo di un importante afflusso di pubblico, quindi di successo.

Immagine di Sam Williams da Pixabay
Altre forme di superstizione si legano all'uso dei colori, alcuni dei quali sono severamente banditi dai teatri (è il caso del viola), ma ciò che accomuna tutte queste forme di scongiuro è un comprensibile timore di andare incontro ad un flop, assieme ad una buona dose di scaramanzia. D'altronde una performance dal vivo riserva sempre delle incognite e le prime rappresentazioni di uno spettacolo risultano particolarmente rischiose: nessun attore può prevedere con assoluta certezza la reazione del suo pubblico. Se, poi, il suddetto autore e tutto il cast impegnato in ogni fase della realizzazione dello spettacolo si soffermassero a pensare ad alcuni flop storici, di certo l'ansia aumenterebbe: di norma le prime rimaste negli annali della storia dello spettacolo non devono la loro celebrità a fattori positivi.
Nel primo decennio del V secolo a.C. Frinico sconvolse il pubblico ateniese con una tragedia storica dal titolo La presa di Mileto (Μιλήτου Ἅλωσις). Portata in scena alle Grandi Dionisie, essa rappresentava i drammatici fatti della rivolta ionica del 499 (una delle premesse alle Guerre persiane), dalla ribellione dele città d'Asia al dominio persiano sostenuta da Atene alla riscossa degli eserciti orientali conclusasi con la capitolazione di Mileto e la deportazione dei suoi abitanti. I fatti descritti nel dramma erano così vicini e ancora così vivi nella memoria degli Ateniesi che molti spettatori scoppiarono in lacrime; la tragedia, nonostante la vittoria, non fu più rappresentata, Frinico venne duramente multato e si stabilì implicitamente che le tragedie descrivessero esclusivamente le sventure altrui (allòtria pàthe), e non quelle dei Greci. Per questo, nella rassegna degli argomenti tragici, i più frequenti sono di carattere mitologico e, fra i drammi sopravvissuti, l'unico di carattere storico è I Persiani di Eschilo (472 a.C.).
Anche una delle opere di Eschilo, però, sortì un effetto traumatico, sebbene questo autore fosse non solo un grande tragediografo, ma una sorta di eroe nazionale. Nel 458 a.C. egli partecipò al suo ultimo agone drammatico, prima di trasferirsi in Sicilia. Portò in scena la trilogia dell'Orestea, dedicata alla saga degli Atridi dalla morte di Agamennone al proscioglimento di suo figlio Oreste. L'ultimo capitolo della saga è incentrato sul tormento di Oreste, che, per vendicare il padre, ha dovuto versare il sangue della madre Clitemnestra, incorrendo in un oltraggio alle leggi divine della devozione familiare pari a quello compiuto dalla genitrice; egli è dunque inseguito dalle Erinni, creature infernali capaci di straziare gli esseri umani fino a farli impazzire. Le voci narrano che l'abbandono di Atene da parte di Eschilo sia stato determinato dalle reazioni stravolte all'apparire del coro composto da queste figure spaventose: svenimenti, grida, delirio e, addirittura, aborti in alcune donne incinte. Tale tradizione non è verificabile con certezza, ma anche una versione alternativa dell'insuccesso di Eschilo adduce un incidente teatrale, precisamente il crollo degli spalti su cui sedevano gli spettatori (le prime gradinate erano infatti strutture temporanee di legno), come fattore determinante la partenza del tragediografo.
Tre secoli più tardi la sfortuna baciò un autore latino, Publio Terenzio Afro, inseguito da accuse generate dal sospetto per i suoi legami con gli Scipioni (di cui viene accusato di essere un prestanome) e dall'insofferenza nei confronti di uno stile comico molto diverso dal modello plautino, che riscuoteva a Roma grande successo. Di fronte al teatro pacato e riflessivo di Terenzio, campione dell'humanitas ma non certo dell'umorismo e della battuta irriverente, il pubblico romano reagì di volta in volta con un'insoddisfazione plateale: il caso più eloquente di tale rifiuto è quello della messa in scena della commedia La suocera (Hecyra), che non arrivò alla fine prima del terzo tentativo di rappresentazione, nel 160 a.C.. Lo stesso Terenzio, nel secondo prologo, ci informa delle circostanze dei sue troncamenti precedenti, dovute alla maggior attrattiva dei giochi rispetto al dramma: 

Vi ripresento La suocera, che non sono mai riuscito a recitare con un po'di silenzio, a tal punto fu gravata dalla sventura. Ma questa sventura verrà placata dalla vostra intelligente attenzione, se mi vorrà dare una mano nell'impegno che ho assunto. La prima volta che la rappresentai, ci fu il tifo per i pugili (e ci si aggiunse anche l'entusiasmo per un funambolo), e tutti quelli che li accompagnavano, e il chiasso delle donne, che mi costrinsero a interrompere la recita prima della fine. E così ripresi la mia vecchia consuetudine con questa nuova commedia, per far la prova: e la misi in scena una seconda volta. Nel primo atto ho successo; ma ecco intanto si sparge la voce che ci sarà un'esibizione di gladiatori, e il pubblico ci vola di corsa, in mezzo al caos, alle urla, ai pugni per prendere posto. [Traduzione di M. Cavalli]

Una simile introduzione, di cui ho riportato un breve estratto, non poteva certo disporre positivamente gli spettatori e scagionare Terenzio dall'accusa di essere noioso e prolisso. 
Ma flop storici si sono registrati anche nella storia contemporanea, se è vero che persino Luigi Pirandello, autore insignito del Nobel per i suoi meriti drammaturgici, ottenne una reazione sdegnata alla prima, al Teatro Valle di Roma, il 9 maggio 1921, dei Sei personaggi in cerca d'autore, durante la quale il pubblico si alzò e iniziò a fischiare e a manifestare il proprio scontento al grido di «Manicomio, manicomio, schifo!». Fu una reazione tempestosa, che impedì qualsiasi difesa all'autore presente in sala, che fu costretto ad abbandonare il teatro sotto ondate di scherno e fischi. Pirandello rimaneggiò il testo fino all'edizione del 1925, ricorrendo ad una presentazione del tema e delle sue scelte, sulla falsariga dei prologhi antichi usati da Terenzio come angolo di poetica e giustificazione.
Non rimase immune dalla diffidenza del pubblico la più recente delle forme di spettacolo, il cinema. Una delle prime rappresentazioni dei fratelli Lumière, intitolata L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, proiettata a Parigi nel 1895 è legata ad una curiosa storia: l'innovazione del punto di ripresa e la novità di questo tipo di spettacolo coinvolsero il pubblico al punto da fargli avvertire l'autenticità della scena che stavano osservando. Si narra che alcuni spettatori, di fronte all'avanzare della locomotiva, abbiano abbandonato la sala in preda allo spavento, anche se si tratta probabilmente di un'esagerazione: molti di loro sussultarono ed ebbero reazioni di autentico stupore, ma la fama della diffusione del panico in sala è stata forse più funzionale a pubblicizzare il realismo e le potenzialità della nuova arte che a descrivere la reale risposta degli astanti.

C.M.

Commenti

  1. Bella e interessante questa ricerca, per certi aspetti anche divertente ;-) Non ero al corrente di ciò che era capitato a Pirandello in teatro, invece di quel famoso treno dei Lumière avevo già sentito parlare. Certo che con la tecnologia di oggigiorno siamo ormai così abituati ad un cinema ultra-realistico che certe scene non fanno quasi più effetto.

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    1. Direi che, mutatis mutandis, potremmo portare come esempio abbastanza attuale la leggenda (penso che sia stata liquidata come tale) sugli attacchi epilettici che ha accompagnato l'uscita de Lo Hobbit in 3D accelerato! @_@

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  2. Che bel resoconto! Non conoscevo questi aneddoti a parte quello del povero Pirandello con la rappresentazione di Sei personaggi in cerca d'autore (ma quanto è bella quest'opera?). Sono un appassionata amatoriale di teatro, tutto è iniziato dalla prima volta che con la scuola andai ad assistere alla rappresentazione delle tragedie greche al teatro antico di Siracusa e da allora ci vado ogni anno. Vorrei tanto approfondire questa mia passione, ma purtroppo adesso, che non sono più universitaria e sono over 25, ho persino problemi a raccogliere soldi per i biglietti.

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    1. Pirandello è un mito, nulla di cui sorprendersi se anche lui è stato un incompreso: alla gente non piace mai sentirsi dire la verità e l'arte immortale fa questo, con grande disagio per chi vuole nascondere la testa sotto la sabbia... preferisco leggere i romanzi, ma il suo teatro è eccezionale!
      Le rappresentazioni di Siracusa devono essere un incanto, magari potessi venire a vederle (anche se già devo incolparmi per aver continuamente rimandato quelle al teatro olimpico di Vicenza)!

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    2. Penny Lane, che desideri continuare a essere spettatrice: guardati attorno, a volte Compagnie e teatri non blasonati ma serissimi nel loro lavoro, offrono meraviglie a prezzi alla portata di tutti.

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  3. Cara Cristina, tutto questo tuo mirabile racconto mi riporta a uno dei problemi più seri del fare teatro: il coraggio di non rispondere perfettamente ai più comuni gusti del pubblico. Scrivo "coraggio" poiché proprio di questo si tratta. Se è vero, come è vero, che "la gente vuole ridere", ecco che si profilano all'orizzonte i mille problemi di mettere in scena qualcosa che risulti accattivante per il pubblico. Ed è quanto mai difficile se non vuoi cedere a un teatro "facile" e brillante che magari riempie le sale ma non ti lascia dentro nessun vero sapore.
    Interessanti i tuoi riferimenti al teatro antico. Ignoravo questi aspetti e mi ha fatto venir voglia di approfondire. Ho aperto due laboratori, un terzo aprirò a scuola da marzo (se passa un progetto di teatro sulla legalità), e voglio riportare queste notizie ai miei allievi. :-)

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    1. Posso capire, quando si tratta di arte (in qualsiasi forma) si profilano due strade: quella sicura della tradizione e quella piena di incognite dello sperimentalismo. Penso che siano due valide scelte, ma, se nessuno mai avesse e avesse avuto questo coraggio di cui parli, avremmo fatto ben poca strada!
      In bocca al lupo con i tuoi progetti interni ed esterni alla scuola, cara Luz! :)

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