Un amore - Dino Buzzati

Un grosso limite della critica letteraria italiana (e che i testi scolastici replicano di conseguenza) è quello di considerare pressoché nullo il valore di quanto scritto dopo gli anni '50 e di censurare alcuni grandi autori del panorama narrativo nazionale. Dino Buzzati è fra questi. Di lui si è detto che è stato un semplice imitatore (di Kafka principalmente), un giornalista - alquanto scontento del proprio destino professionale, a dirla tutta - che ha scritto anche racconti (vincendo un premio Strega en passant), che il suo orizzonte narrativo era quello della visione, dell'onirismo e del fantastico. Tutti giudizi che sottendono un giudizio negativo, al quale si lega l'immeritata nebbia in cui è avvolto, per i più, il nome di questo scrittore.
Nei giorni scorsi, grazie ad una iniziativa di lettura del gruppo degli Scratch-readers, mi sono dedicata ad un testo di Buzzati che non rientrava nelle mie priorità, ma che sono contenta di aver anteposto alla prosecuzione dell'avventura fantastica con i romanzi dell'autore bellunese. Come sapete, ho già più che apprezzato Buzzati fin dalla lettura e dall'incontro quasi casuale con Il deserto dei Tartari e che sono rimasta altrettanto colpita dai suoi racconti e dalla fiaba de Il segreto del Bosco Vecchio, quindi ero molto ben disposta alla lettura di qualsiasi altro suo scritto. Certo, Un amore (1963) è un'opera ben diversa dalle precedenti: non un romanzo fantastico, non una leggenda, non il racconto di un'esperienza visionaria, bensì la cruda ricostruzione di una vicenda comune che coinvolge un borghese come tanti, che concentra in sé alcuni momenti della vita dell'autore.

Protagonista di Un amore è Antonio Dorigo, un cinquantenne che si invaghisce di una giovane prostituta, Laide, conosciuta nell'appartamento della ruffiana Ermelina. Non molto bella, scontrosa e per nulla preoccupata di fingere un qualche interesse per Dorigo, Laide incarna ai suoi occhi il desiderio, la libidine di un intero mondo sociale, della Milano con cui si confondono i suoi innumerevoli ritratti e le descrizioni infinite dei suoi gesti. Laide, novella Nanà, sembra voler fare di tutto per provocare Dorigo, approfittando del suo amore per chiedergli denaro, favori, addirittura di accompagnarla ad incontrare quelli che lui non dubita siano i suoi amanti. Totalmente nelle mani di questa ragazzina crudele, Dorigo si fa umiliare e, pur sapendo di non essere amato e di essere più che sostituibile nel letto di Laide, non riesce a staccarsi da lei, a rompere la relazione, a riversarle addosso tutto il suo disprezzo.
Un amore è un grande romanzo che descrive uno spaccato umano, che adotta tecniche narrative del tutto originali e che, dunque, meriterebbe più attenzione rispetto a quella che riceve. La storia, di per sé, è già vista, e lo stesso Buzzati rileva i paralleli fra la situazione di Dorigo e Laide e quella del conte Muffat e Nanà, ma è la visione novecentesca a renderla inedita, presentandola in una chiave assolutamente contemporanea. L'autore, infatti, ricorre ad uno stile che raccoglie l'eredità del flusso di coscienza, alternando puntuali descrizioni, brevi frasi e dialoghi a lunghi monologhi interiori in cui la punteggiatura cede alla potenza delle emozioni ma, al contempo, attinge a toni poetici e simbolisti che rivelano quanto quel flusso sia lontano dalla spontaneità (vera o presunta) dei suoi antecedenti. Dorigo/Buzzati, infatti, mette in gioco tutta la sua abilità intellettuale per costruire ardite immagini rampollanti nella mente, tutte accomunate dal fatto di scaturire da Laide e dai sentimenti contrastanti che ella accende nel suo amante. Nessuno di questi passaggi è scontato, di nessuno di essi sembra di poter fare a meno, anche se il loro effetto sullo svolgimento dell'azione è quello di un brusco rallentamento: in quei momenti di Laide resta solo un'immagine ed essa scava in Dorigo, anche per pagine e pagine. Ma è proprio grazie a queste digressioni che il lettore impara a conoscere il protagonista e la sua ninfa terribile, a scendere nelle pieghe della passione, a penetrare al di sotto della crosta di moralità per portare alla luce la vera natura dell'essere umano, che costruisce tante apparenze per negare il suo essere istinto. E, al contempo, ci viene dipinto ogni aspetto di Laide, della sua giovinezza rubata, della disperazione di cercare un ruolo adattandosi a quelle maschere sociali, anche se il suo è un costume deprecato.
Leggendo Un amore si susseguono sentimenti altrettanto diversi: pietà, incredulità, persino il bisogno di entrare nelle pagine e di prendere a schiaffi Dorigo o di scrivere al posto suo una lettera d'addio come si deve a quella capricciosa di Laide. Ma la verità è che, procedendo capitolo dopo capitolo, non si sa più chi sia degno di disprezzo e chi di compassione, se il Dorigo che necessita di una giovinetta per risonoscere a se stesso una qualche forma di identità o Laide, che vive di espedienti che forse non le lasciano alternative, vuoi per la sua ingenuità, vuoi per la sua resa ad un meccanismo sociale che non può includerla se non come una prostituta. E - ma a questo Buzzati ci ha abituati - non si riesce a prevedere il finale. Esattamente come ne Il deserto dei Tartari, il lettore divora le pagine nella cocente attesa dell'epilogo: Laide si ravvedrà? Dorigo avrà il coraggio di mettere fine al supplizio? E una vera risposta non esiste, non è possibile fare altro che lasciarsi irretire dai folgoranti capitoli finali e da un explicit che si guadagna il podio fra i migliori mai scritti da un autore italiano.
Per tutti questi motivi Dino Buzzati è uno scrittore che merita elogi, pubblicazioni, manifestazioni, revisioni critiche. Egli non è semplicemente un manierista che porta alla svenevolezza modi e tecniche collaudate da altri, ma un abile narratore capace di passare da vette poetiche a momenti di grande realismo, utilizzando uno stile personalissimo, in cui le movenze della parlata lombardo-veneta si mescolano a impennate di stile e ne vengono come nobilitate. E lo stesso accade per i contenuti, per i personaggi comuni che, grazie alla sua penna, assurgono ad un rango nobile, letterario, come quella velenosa e fragile Laide che sparisce nelle pieghe di una metropoli che trasuda ipocrisie e artificiosità.

No. Lui la amava per se stessa, per quello che rappresentava di femmina, di capriccio, di giovinezza, di genuinità popolana, di malizia, di inverecondia, di sfrontatezza, di libertà, di mistero. Era il simbolo di un mondo plebeo, notturno, gaio, vizioso, scelleratamente intrepido e sicuro di sé che fermentava di insaziabile vita intorno alla noia e alla rispettabilità dei borghesi. Era l’ignoto, l’avventura, il fiore dell’antica città spuntato nel cortile di una vecchia casa malfamata fra i ricordi, le leggende, le miserie, i peccati, le ombre e i segreti di Milano. E benché molti ci avessero camminato sopra, era ancora fresco, gentile e profumato. Gli basterebbe – pensava – che la Laide diventasse un poco sua, vivesse un poco per lui, l’idea di poter entrare come personaggio nell’esistenza di quella ragazzina e di diventare per lei una cosa importante, anche se non la più importante, questa la sua ossessione.

C.M.

Commenti

  1. Io il nome di Dino Buzzati l'ho scoperto all'età di dieci anni e nel modo più strano. A maggio o giugno del 1971 usciva nelle edicole il primo volume della collana che presente l'intero ciclo di "Tarzan delle scimmie" di Edgar Rice Burroughs. Ebbene, l'introduzione alla collana, che viene riproposta anche nei tre successivi volumi della serie, era sua.
    Ho poi acquistato alcune delle sue opere nelle edizioni economiche ma riposano tuttora non lette nei miei scaffali. Tra queste anche "Un amore". Ma sembra esserci sempre qualche altra opera che la precede nell'ordine di priorità delle mie letture e se continua così quell'introduzione a Tarzan rimarrà l'unica cosa che avrò letto di lui.

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    1. No, non lo lasciare da parte, ti prego! Non consiglierei di iniziare da Un amore, ma, semmai dai suoi racconti fantastici o, meglio ancora, dal capolavoro Il deserto dei Tartari. In ogni caso, l'impegno di Buzzati nel curare anche collane editoriali e introduzioni dimostra ancora una volta la sua piena competenza letteraria, che insisto a voler rivalutata.

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  2. In effetti ha molte affinità con il romanzo di Zola. Mentre lo scrittore francese ne cercava il motivo scientifico, deprecando tra l'altro la società, Buzzati non sembra condannare o giudicare quel piccolo mondo, o sbaglio?

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    1. Negli ultimi capitoli si insinua il dubbio della critica alla falsa morale borghese, anche se la sua resta, a differenza del romanzo di Zola, una storia individuale, di un sentimento contrastato del tutto personale.

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  3. Bella recensione!!Lessi molti anni fa questo libro e mi fece scoprire Buzzati. Da quel momento ho letto tutti i suoi libri. Buzzati è TROPPO sottovalutato, relegato troppo sbrigativamente ne!la corrente del "realismo magico"; ma Buzzati è molto, molto altro. Non so se hai letto il racconto "inviti superflui": commovente e malinconico da togliere il fiato.

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    1. Eccome se l'ho letto: è sicuramente uno dei più emozionanti e magnetici de La boutique del mistero... oltre che la dimostrazione della versatilità dell'autore anche nei racconti brevi!

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  4. Bell'articolo, grande Buzzati. Ho letto molti dei suoi racconti e Il deserto dei Tartari, davvero affascinante. Dei racconti consiglio "Ombra del sud" che ho letto infinite volte, oltre a "L'uomo che volle guarire", "Appuntamento con Einstein", ma su tutti "NUOVI STRANI AMICI" che forse si conosce un po' meno. Un Amore non lo ho ancora letto, spero di riuscire a leggerlo quest'estate, mi avete fatto venire voglia! Se qualcuno fosse interessato propongo un articolo sulla musica ne "Il Deserto Dei Tartari"

    https://quinteparallele.net/2016/04/09/gli-echi-musicali-in-buzzati/

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    1. Grazie per l'interessante contributo, quando rileggerò Il deserto dei Tartari farò più caso a queste musicalità... e dovrò recupeare i racconti da te citati, che mi mancano.

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